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CENTRO STUDI GALILEO PER ULTERIORI INFORMAZIONI

 NON SOLO SURRISCALDAMENTO

COME OTTIMIZZARE LA RESA FRIGORIFERA DI UN IMPIANTO
(Art. 116)

PARTE I

Pierfrancesco Fantoni

Introduzione

La verifica del buon funzionamento di un impianto frigorifero normalmente viene eseguita mediante la misura delle pressioni di lavoro, l’accertamento di alcune temperature dei componenti (operazione che talvolta viene eseguita anche con il semplice tocco con la mano), il controllo del vetro-spia del liquido (quando presente) e l’osservazione visiva di  qualche anomalia evidente sui vari componenti che compongono il circuito. Nei casi in cui si vogliano avere informazioni più dettagliate si procede alla misurazione della corrente assorbita dal compressore, alla portata d’aria che attraversa gli scambiatori oppure alla misura del surriscaldamento. Quest’ultima viene ritenuta una delle indicazioni più affidabili per l’accertamento di come l’impianto sta lavorando. In effetti la misura del surriscaldamento, oltre ad essere facilmente eseguibile, offre indicazioni molto importanti per la diagnostica di eventuali malfunzionamenti dell’impianto.

Tuttavia se si vuole migliorare la resa frigorifera e l’efficienza energetica del proprio impianto frigorifero non è sufficiente limitarsi alla misura del solo surriscaldamento. Occorre, invece, procedere ad un’ulteriore regolazione sulla parte di alta pressione del circuito frigorifero.

Sottoraffreddamento e surriscaldamento

Assieme alla misura del surriscaldamento, però, anche la verifica del sottoraffreddamento è una operazione che andrebbe compiuta con più frequenza ed a cui affidarsi più spesso per verificare le condizioni di funzionamento dell’impianto. Infatti, sia surriscaldamento che sottoraffreddamento sono due misure che permettono di appurare in quale modo stanno avvenendo gli scambi di calori in corrispondenza dei due principali scambiatori del circuito, consentendo di appurare se le quantità di calore in gioco sono ben proporzionate alle dimensioni degli scambiatori ed alla quantità di refrigerante in circolo nel circuito frigorifero. L’unica distinzione sta nel fatto che il surriscaldamento fornisce indicazioni relativamente al lato di bassa pressione dell’impianto, mentre il sottoraffreddamento è un indicatore relativo alla parte di alta pressione. Quindi, nonostante quanto venga comunemente ritenuto, si deve assegnare pari dignità al sottoraffreddamento rispetto al surriscaldamento, anche se poi, nella pratica, la misura del primo risulta non sempre agevolmente eseguibile, anche per ragioni costruttive del circuito frigorifero (leggi mancanza delle necessarie prese di pressione). Anzi, si può dire di più: in un ottica di ottimizzazione dell’efficienza dell’impianto frigorifero il sottoraffreddamento è in grado di fornire indicazioni ben più rilevanti rispetto a quanto offre il surriscaldamento.

Misura del sottoraffreddamento

Come noto, per misurare il sottoraffreddamento, serve un termometro dotato di sonda ed un manometro (vedi figura 1). Con il primo si misura la temperatura nel punto in cui si desidera conoscere il valore del sottoraffreddamento, con il secondo si rileva la pressione esistente all’interno del tratto di circuito che comprende il punto di rilevazione della temperatura. È sempre bene avere una presa di pressione prossima al punto di rilevazione della temperatura, in modo tale da evitare errori di misura causati dalla presenza di eventuali perdite di carico: tale fatto normalmente si presenta quando il condensatore risulta composto da circuiti molto lunghi o quando la velocità del refrigerante all’interno delle tubazioni risulta essere molto elevata. Dal valore di pressione letto, conoscendo il tipo di refrigerante usato, si può direttamente leggere sul manometro la corrispondente temperatura di condensazione oppure essa può essere ricavata avvalendosi delle relative tabelle temperatura-pressione esistenti per ogni tipo di refrigerante. La differenza tra il valore di temperatura misurato con il termometro ed il valore di temperatura ricavato nel modo appena descritto fornisce l’entità del sottoraffreddamento.

Come accennato sopra, è possibile che nel circuito non sia presente alcuna presa di pressione sulla parte di alta pressione. In tal caso il sottoraffreddamento può essere ugualmente misurato eseguendo direttamente le due misure di temperatura con il termometro (vedi figura 2). Si badi bene, però, che per conoscere la temperatura di condensazione la misura va eseguita nella parte centrale del condensatore. Ovviamente tanto più gli strumenti di misura sono precisi e tanto più accurate sono le misure tanto più affidabile risulterà il valore ricavato del sottoraffreddamento.

La funzione del sottoraffreddamento

Mentre il surriscaldamento  ricopre una funzione di sicurezza (contro l’arrivo di liquido al compressore) il sottoraffreddamento serve per migliorare il funzionamento del dispositivo di espansione, valvola o capillare. Infatti durante l’espansione normalmente una parte di refrigerante allo stato liquido si trasforma già in gas, ancor prima di entrare nell’evaporatore. L’effetto complessivo che si ha è estremamente negativo, sia dal punto di vista della resa frigorifera dell’impianto sia dal punto di vista della sua efficienza complessiva.

La quantità di gas che si forma è variabile, dipendendo sia dalle temperature di evaporazione e di condensazione, sia dal tipo di refrigerante che viene utilizzato. Nella tabella 1 vengono riportate le quantità di gas che si produce a monte dell’evaporatore, a causa del fenomeno di espansione, per un impianto frigorifero a R134a che lavora tra diverse temperature di evaporazione e condensazione.

Tabella 1 – Percentuale di vapore che si forma durante l’espansione di 1 kg di liquido (refrigerante R134a)

Temperatura di
evaporazione (°C)

Temperatura di
condensazione (°C)

Quantità di liquido evaporato (%)

-10

+30

27

+40

34

+50

41

+60

48

-20

+30

32

-30

37

-40

42

-50

47

Come si può osservare, la quantità di gas che si forma durante l’espansione aumenta all’aumentare della differenza tra le temperature di lavoro dell’impianto. La cosa non è da poco, se si pensa che lavorando ad esempio a -10/+60 °C quasi la metà del liquido che fluisce nella valvola o nel capillare si trasforma in gas: tale gas, transitando nell’evaporatore, non è in grado di produrre alcun effetto frigorifero significativo, il che significa che la resa frigorifera dell’impianto ne risulta fortemente penalizzata.

Tale fenomeno, come già detto, non avviene con le stesse modalità per tutti i tipi di refrigeranti. La tabella 2 mostra la quantità di gas che si forma a seguito dell’espansione in un ciclo frigorifero che lavora tra -20 °C e +40°C per vari tipi di refrigerante. 

Tabella 2 – Percentuale di vapore che si forma durante l’espansione di 1 kg di liquido per vari tipi di refrigerante (ciclo frigorifero teorico -20/+40 °C)

Refrigerante

Quantità di liquido evaporato
(%)

R22

34

R134

38

R404A

46

R407C

38

R410A

39

Dall’analisi dei dati della tabella si può notare come, indipendentemente dal tipo di refrigerante impiegato, lavorando tra le temperature di evaporazione di -20 °C e di +40 °C durante l’espansione più di un terzo del liquido si trasformi in gas provocando, così, una perdita netta di resa frigorifera di oltre il 33%. Inoltre si nota come la quantità di gas che si forma non risulti la medesima per tutti i refrigeranti: l’R404A presenta una formazione di vapore ben superiore rispetto a tutti gli altri tipi.

Alla luce di tali considerazioni, risalta la necessità di limitare la formazione di vapore durante il processo di espansione, soprattutto quando tra temperatura di condensazione e di evaporazione esiste una differenza molto marcata. In sostanza, al crescere del rapporto di compressione, l’impianto frigorifero fa sempre più fatica a produrre freddo diventando, dal punto di vista delle prestazioni energetiche, sempre meno efficiente. La funzione affidata al sottoraffreddamento del liquido in uscita dal condensatore è proprio quella di porre una limitazione a tale inefficienza. 

[continua]